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Nella vita a volte è necessario saper lottare, non solo senza paura, ma anche senza speranza.
Sandro Pertini

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24/05/15

Come sopravvivere nel tempo della fine: Gli averi del signore.

Cari fratelli

Essere sempre pessimisti ed avere, sempre una veduta negativa non è mai vantaggioso e in alcuni casi potrebbe diventare pericoloso per la nostra stessa spiritualità.. Questo è particolarmente vero quando si è negativi verso le cose di Dio. Chi è negativo può nutrire pensieri amari e diventare, suo malgrado, esattamente come il malvagio che sta contestando.  Questo tipo di atteggiamento è ampiamente descritto in molti versetti che il re Salomone ci descrive in proverbi ( es Prov. 22:13 ). Abbiamo imparato che i Proverbi hanno un’applicazione spirituale ed anche una letterale. Coloro che sono come quelli descritti da Proverbi possono aver cominciato con lo spirito e l’attitudine giusti, ma poi acquistano una veduta negativa verso le azioni e le opere giuste. Ci vuole dunque attenta vigilanza da parte nostra per evitar di coltivare questo deplorevole spirito. — Prov. 4:23. Considerate questa estensione. I seguaci delle chiese settarie della cristianità hanno falsamente professato d’essere al servizio del Signore. Ma non hanno mostrato assolutamente nessun interesse per gli “averi” del Signore.  Il terzo schiavo della parabola di Gesù aveva paura del suo signore e lo considerava un uomo esigente e irragionevole. Per questo seppellì il talento invece di usarlo per aumentare gli averi. Se vogliamo evitare un simile atteggiamento negligente dobbiamo coltivare e mantenere una calorosa relazione con il Signore della messe, Geova. Riserviamo del tempo per studiare e meditare sulle sue splendide qualità: l’amore, la pazienza, la misericordia. In questo modo il nostro cuore ci spingerà a fare del nostro meglio nel suo servizio. — Luca 6:45; Filip. 1:9-11.


Ma a tutto questo, quali proclamatori consapevoli, dobbiamo fare una considerazione. I fedeli servitori di Geova non sono immuni dal commettere errori e, in taluni casi, risulta necessaria la forte disciplina della disassociazione. Quando questa avviene, giusta o sbagliata che sia, c’è un aspetto “anomalo” che viene attuato in tacito consenso fra il giudicante e il giudicato. Accade infatti che dal momento della disassociazione il giudicato smette di predicare.


Perchè ?


Sono diverse le considerazioni che mi sono fatto ma francamente ho trovato un’unica risposta sensata.  Per quanto possa sembrare difficile da comprendere gli aspetti spirituali generali  del giudicato e presunto impenitente, possono rimanere intatti come quelli relativi al credere nel sacrificio di riscatto di Gesù o credere nel veniente regno di Dio. Le espressioni di fede vengono annullate da peccati che per paradosso possono essere anche scritturalmente marginali rispetto alla consapevolezza della contesa universale. Sicuramente a queste persone non viene più richiesto di fare il rapporto di servizio. Sembra quindi che si crei una sorta di relazione fra il rapporto e la proclamazione della buona notizia.


Possiamo ritenere che il rapporto di servizio sia davvero più importante della predicazione stessa ? Formalmente la disassociazione stabilisce i limiti relazionali con i fratelli, ma non li stabilisce con le persone delle nazioni. Una volta che l’impenitente ha compreso la natura del peccato commesso, e pregato Geova con espressioni di sincero pentimento, può analizzare i motivi per il quale è stato convinto a diventare testimone di Geova. Se questi sussistono nella loro interezza allora è  lecito pensare che si possano fare i passi per ritornare nella congregazione di Dio. ( Abbiamo già capito, da queste considerazioni, che sono esclusi sicuramente tutti gli apostati della fede ). Quindi da quel momento riteniamo plausibile che non possa essere negato il privilegio di portare la buona notizia alle persone e quindi di fare rapporto anche se la congregazione necessitasse di attendere la sua riassociazione ufficiale. L’ecclesia potrebbe avere come riferimento ad esempio  la stessa considerazione che da già ora ai proclamatori non battezzati, ricordando però che formalmente la riassociazione non corrisponde ad un nuovo battesimo della persona.


Dal punto di vista organizzativo ci sarebbero molti vantaggi.


  • In primo luogo salvaguardiamo gli interessi spirituali del fratello che magari si trova in una condizione temporanea d’errore ( Luca 7:37, 48 )  e allo stesso tempo salvaguardiamo gli interessi della congregazione che rimane protetta.  
  • Gli anziani nominati avrebbero importanti indicazioni sulle reali intenzioni del fratello impenitente a ritornare nel gregge di Dio ed eviterebbero ad esempio la complicata analisi delle risposte che il peccatore deve dare per essere riassociato. ( Giac 2:13 )
  • L’impenitente non sarà costretto ad uno stato di prolungata inattività ( anche perchè da quello che si è visto questo si ripercuoterà negativamente nel servizio futuro ). ( ho trovato illuminante l’articolo sugli effetti dell’isolamento W 15/5/1981 Non isolarti )
  • Gli anziani saranno spronati nel cercare di aiutare queste pecore che hanno abbandonato il gregge in uno stato di temporaneo peccato. Ovviamente le visite pastorali di questo tipo sono molto delicate e necessitano di molta esperienza e capacità. ( Giosuè 1:7,8 ) Così magari i nominati della circoscrizione saranno valutati non per le capacità oratorie (utili solo nelle brevi parti all’assemblea) ma per le qualità che bisogna dimostrare nelle tantissime situazioni delicate che esistono in tutte le circoscrizioni. Forse si potrebbe stabilire che i fratelli coinvolti in questa opera pastorale non siano gli stessi che hanno seguito il comitato giudicante.


In verità noi sappiamo bene che nessuno al mondo può impedire a qualcun altro l’attività di predicazione della parola di Dio. Tutti gli esseri umani, qualsiasi sia la loro condizione, possono sostenere questo tipo di interessi del regno e i disassociati non sono esclusi. In questo momento il rapporto, è parte degli averi terreni del signore.


Ancora sul rapporto


Alcuni ad una prima superficiale analisi potrebbero concludere che il rapporto di servizio non sia coerente con la pura espressione della fede. In realtà non pensiamo questo, ma riteniamo che questa espressione della fede potrebbe essere utilizzata in un modo non corretto.


Quale potrebbe essere un uso scorretto ?


Rispondo con una considerazione che mi sono fatto quando, molti anni fa, a puro fine artistico storico ho visitato l’interno di una tradizionalissima chiesa cattolico cristiana del nostro paese. Durante la visita, per altro molto interessante, la mia curiosità si era concentrata su alcune targhette metalliche che erano presenti nelle panche predisposte per l’ascolto delle omelie. Su queste targhette erano incisi  i cognomi di alcune, a me sconosciute, famiglie del luogo, che con i loro servigi evidentemente avevano ottenuto questo tipo di privilegio. Trattenni con difficoltà la mia pur debole malizia quando i resoconti storici mi confermarono che le famiglie più abbienti del luogo, erano quelle che avevano la targhetta più “vicina” all’altare. Insomma la relazione fra servigi prestati e privilegi è sempre stato un problema anche nella cristianità tradizionale. Ma questo probabilmente è l’ultimo dei problemi per questa cristianità.


Noi sappiamo che togliere il nome dal rapporto non risolverà comunque il problema, ma alcune indicazioni pervenute ci dicono che alcuni fratelli  lo stanno utilizzando come mezzo per ottenere indebiti privilegi teocratici. Il problema non sarebbe così grave, se questo poi non diventasse l’inizio di una serie di comportamenti, apparentemente leciti, ma che hanno sempre  l’effetto di contaminare la congregazione con il veleno della malizia e dell’interesse personale. Non mettere il nominativo sul rapporto costringe ad un diverso approccio sulla valutazione dei fratelli e sotto diversi aspetti più stringente. In questo modo, i fratelli nominati, potrebbero davvero iniziare a considerare i “doni” concreti che i compagni d’opera stanno dando alla congregazione e non per i numerelli che non dichiarano.


Ricordiamo, se questo non bastasse, che “l’acquisto” di privilegi teocratici è pesantemente condannato dalla bibbia.


SIMONE, un uomo di Samaria, era molto rispettato nella sua comunità. Visse nel I secolo E.V. e la gente era così meravigliata dalle sue arti magiche che diceva di lui: “Quest’uomo è la Potenza di Dio, la quale si può chiamare Grande”. — Atti 8:9-11. Tuttavia, dopo essere diventato un cristiano battezzato, Simone vide che c’era una potenza molto superiore a quella che un tempo aveva lui. Era la potenza conferita agli apostoli di Gesù, che permetteva loro di impartire ad altri i miracolosi doni dello spirito santo. Simone ne fu così colpito che offrì del denaro agli apostoli, dicendo: “Date anche a me questa autorità, affinché chiunque sul quale io ponga le mani riceva lo spirito santo”. — Atti 8:13-19. L’apostolo Pietro lo rimproverò dicendo: “Il tuo argento perisca con te, perché hai pensato di acquistare col denaro il gratuito dono di Dio. Tu non hai né parte né sorte in questa cosa, poiché il tuo cuore non è retto dinanzi a Dio”. — Atti 8:20, 21.