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Pensiero dell'anno

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Nella vita a volte è necessario saper lottare, non solo senza paura, ma anche senza speranza.
Sandro Pertini

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02/07/14

DE LAPSIS


DE LAPSIS



Lapsi in latino significa “caduti” (dalla stessa radice viene il più famoso “lapsus” ).

Nella storia del cristianesimo i Lapsi furono una folta categoria di cristiani che avevano abiurato la fede cedendo alle persecuzioni degli imperatori Decio, Valeriano e Diocleziano nel III secolo E.V. Caddero per paura di morire, per la loro debole fede, non per una reale volontà di abbandono del cristianesimo. Una volta però passata la tempesta, e avuta salva la pelle, questi volevano rientrare nelle comunità che avevano tradito. La questione generò feroci lotte interne alla Chiesa e veri e propri scismi fra giustistialisti e perdonisti e, in quel tardo III secolo, la motivazione più forte per la  ‘non riammissione’ riguardava la salvaguardia dell’identità della chiesa e la preservazione della sua purezza più che il giudizio definitivo del singolo peccatore, lasciato sempre a Dio. Nel II secolo la situazione degli scomunicati era ancora più drastica perché era irreversibile fino alla morte, in particolare per i tre peccati maggiori, l’idolatria, l’adulterio e l’omicidio, qualsiasi fosse la penitenza o gogna che il peccatore potesse portare a sua espiazione. Qualcuno rimarrà sorpreso che una volta morti gli apostoli  non si passò poi, come si immagina,  a feste e bagordi con facile licenza di peccare “alla cattolica” di oggi. Tutt’altro invece.  E’ utile conoscere la storia di quei primi secoli perché ci può insegnare varie cose:1) le divergenze sulle misure da applicare per le espulsioni rivelano che nella Scrittura non era esplicitata una normativa chiaramente definita [come per le nomine]. 2) l’obbiettivo della misura punitiva era più per “salvare” l’identità della congregazione che il singolo peccatore. 3) i cambiamenti di queste misure dipendevano più che altro dalla convenienza di una maggiore o minore severità nel momento storico contingente per raggiungere l’obbiettivo al punto 2.


Fu in quel periodo che il vescovo di Cartagine Cipriano scrive il De Lapsis per indicare le condizioni e il percorso penitenziale necessario per trattare quei caduti. Qualcosa del genere succede con la nostra gestione della congregazione mentre il nostro Corpo Direttivo ci da istruzioni per gestire i peccati e i peccatori ma, va detto, con l’obbiettivo di salvare soprattutto i caratteri distintivi della congregazione e la sua integrità.


COSA DICONO LE SCRITTURE?

A dire il vero non dicono molto sull’argomento espulsioni. Diverse scritture consigliano di evitare l’amicizia di persone dalla condotta carnale, anche dentro la congregazione, ma in questo articolo prendo in esame le uniche tre scritture di tutto il NT che indicano delle precise azioni giudiziarie verso gravi peccati: Matteo 18:15-17, 1 Corinti cap. 5 e Tito 3:10.             

Cercherò di esporre e argomentare ciò che, dopo attenta ricerca e riflessione, comprendo da queste scritture su 1) a chi è assegnato il compito di giudicare, 2) per quali peccati si debba arrivare alla disassociazione, 3) che comportamento va tenuto nei confronti dei disassociati .


Chi deve giudicare?


la struttura organizzativa della Congregazione Cristiana si rifà al modello del giudaismo sinagogale e questo deve essere tenuto in conto anche per la pratica delle espulsioni. E’ vero che i processi erano pubblici, alle porte della città, ma anche se chiunque poteva presenziare non chiunque poteva  partecipare al giudizio. Questo era emesso solo dai capi/anziani della città e, posteriormente, della Sinagoga.


Giudicare una persona è la cosa più gravosa del compito degli anziani e nel contempo la più pericolosa. Nel Salmo 82 i giudici costituiti per giudicare il popolo sono chiamati dei (Elohim) proprio perché il compito di giudicare è quello divino per eccellenza (Gv 10:34). La stessa parola Elohim ha come significato primario di giudice. Per questo nelle Scritture troviamo molti avvertimenti verso chi deve giudicare in modo da farlo con giustizia e diritto.

Che le trasgressioni debbano essere giudicate dagli anziani è praticamente implicito nel contesto biblico, e neppure tutti gli anziani ma i più qualificati fra loro. Oggi, con la maggiore importanza che si da alla privacy e alla dignità personale, che dipende anche dalle convenzioni sociali, è improponibile che i peccati gravi di qualcuno siano trattati in adunanza generale. Oggi neppure i consigli alla Smt si danno pubblicamente bensì in privato, figuriamoci se si possa mettere in piazza un peccato noto solo a qualcuno e trattare tutte le questioni spesso delicate e complesse che stanno dietro una trasgressione. Ma, come si diceva in un altro post, non dice Gesù in Matteo 18 di parlare “alla congregazione” dopo aver provato a ristabilire privatamente il peccatore?


In Matteo 18:15-17 Gesù parla dei gravi torti che uno può ricevere da un altro e indica come trattarli invece di vendicarsi, non si riferisce ai peccati in generale contro le norme bibliche. La nostra Bibbia segue l’antico testo di Wescott e Hort ma il più aggiornato e usato dalle bibbie attuali, il Nestle-Aland, rende il v.15 “Se il tuo fratello ha peccato [contro di te]”, come appare in vari manoscritti antichi come il Beza, ma anche perché il contesto è proprio quello dei torti personali. Lo conferma la fine del procedimento indicato al v.17 “Se egli non ascolta neanche la congregazione, ti sia proprio come un uomo delle nazioni”. Il contesto prosegue poco dopo con la domanda di Pietro “ma quante volte devo perdonare chi pecca contro di me?” e Gesù fornisce la risposta con la parabola dei due schiavi che avevano dei debiti in denaro.

In Luca 17 troviamo un insegnamento simile a Matteo 18 e lì leggiamo:

(Luca 17:3, 4) Prestate attenzione a voi stessi. Se il tuo fratello commette un peccato rimproveralo, e se si pente perdonalo. Anche se pecca contro di te sette volte al giorno e sette volte torna da te, dicendo: ‘Mi pento’, lo devi perdonare”.

Al v. 3 non si dice “contro di te” ma è implicito e va inteso così dal contesto. Lo stesso possiamo dirlo per Matteo 18 per le ragioni sopra esposte.

Quando Gesù pronuncia queste parole la congregazione cristiana non era stata ancora costituita. I suoi ascoltatori però potevano comunque capire che stava dicendo di rivolgersi all’organo costituito per giudicare, che si può chiamare assemblea/congregazione/sinagoga in quanto lo rappresenta e ne è rappresentato , ma non si ha nella Bibbia una sola causa giudicata dalla votazione di tutta una comunità dopo un dibattito pubblico.

A queste ragioni vanno aggiunte queste altre due scritturali:1) l’istruzione di Paolo a Tito, un anziano, di rigettare chi promuove una setta dopo averlo ammonito,Tito 3:10, e 2) ciò che Paolo dice in 1 Timoteo 1:20 dove l’apostolo attribuisce a sé la probabile espulsione (“consegnati a Satana” come in 1 Co 5:5) di Imeneo e Alessandro chiamandola “disciplina”.

Naturalmente a ogni cristiano maturo e spirituale, che sia nominato o no, è data facoltà e responsabilità di consigliare e riprendere chi sbaglia allo scopo di ristabilirlo (Gal. 6:1). Ma qui stiamo parlando dell’azione disciplinare di espellere un peccatore dalla congregazione, azione che come abbiamo visto è sicuramente scritturale, e che oggi è compiuta da anziani riuniti in Comitato Giudiziario in armonia, io credo, con le Scritture esaminate finora. Non vedo obiezioni a che nella riunione con il CG assista chiunque il peccatore gradisca, purché membro battezzato della congregazione.


Ora però arrivo a parlare di questi Comitati Giudiziari. Il fratello Morris ha parlato di un anziano che, tornando la sera tardi da qualche CG a qualche giovane della congregazione, si inginocchiava al letto dei sui figli che già dormivano per pregare per loro in modo che mai avessero dovuto trovarsi davanti a un CG. Pur comprendendo le ragioni e i sentimenti espressi in queste parole, esse rivelano anche che i nostri CG sono delle esperienze quasi tragiche, drammatiche, che possono segnare a vita come una brutta cicatrice sul volto, qualcosa che al solo nominarli si gela quasi il sangue…Io invece, ascoltando Morris, ho pensato subito al Davide biblico il quale, se avesse fatto oggi quello che fece allora, ne avrebbe avuti diversi di nostri CG. Dico che preferirei mille volte essere come lui e i suoi CG sulla schiena che uno dal pedigree intonso ma che non ha mai sperimentato il grande perdono di Geova e che forse, proprio per questo, “ama poco perché gli è stato perdonato poco” (Luca 7:47).

Vista comunque la necessità di avere dei Comitati Giudiziari per le espulsioni necessarie, la questione adesso è in che casi e circostanze questi debbano essere costituiti, e passo quindi  al punto successivo.


“Bisogna fare un Comitato Giudiziario”


Le istruzioni attuali indicano di costituire un CG per una serie di peccati gravi. Ogni qualvolta un cristiano battezzato si rende colpevole di determinate trasgressioni scritturali si deve fare un CG. Alcune di queste trasgressioni, per compierle, non è sufficiente un singolo atto peccaminoso, per altre invece è sufficiente un singolo evento (es. omicidio, fornicazione). Data la difficoltà, come già detto, di dover giudicare persone e situazioni a volte tutt’altro che semplici è ovvio che gli anziani ricevano istruzioni e addestramento in merito tenendo conto i principi biblici e le scarne scritture specifiche. A questo punto cerco di cogliere la massima luce possibile da 1 Corinti 5 e Tito 3:10.


(1 Corinti 5:1, 2) In effetti, si riferisce che fra voi c’è fornicazione, e fornicazione tale che non esiste neanche fra le nazioni, che un certo [uomo] ha la moglie del [proprio] padre. 2 E siete voi gonfi, e non avete piuttosto fatto cordoglio, affinché l’uomo che ha commesso tale azione fosse tolto di mezzo a voi?



Questo è il fatto che istituisce il nostro Comitato Giudiziario. Com’è evidente non si tratta di una ‘semplice fornicazione’, ma di una situazione continuata nel tempo e nota a tutti per un peccato fra i più gravi. La relazione incestuosa  infatti era uno dei 12 peccati per i quali tutta la nazione d’Israele dovette pubblicamente maledire chi lo compiva, con un “Amen” finale, appena entrati nella Terra Promessa (Deut. 27:20). Paolo stesso dice che era talmente grave che neppure fra le nazioni esisteva, perché l’incesto era proibito infatti anche dal diritto romano vigente. Davanti a una tale devianza morale, e all’inaccettabile tolleranza da parte della congregazione, Paolo comanda di espellerlo e allarga la lista di comportamenti per i quali bisogna compiere una simile azione disciplinare dicendo al v.11 “Ma ora vi scrivo di cessar di mischiarvi in compagnia di qualcuno chiamato fratello che è fornicatore o avido o idolatra o oltraggiatore o ubriacone o rapace, non mangiando nemmeno con un tal uomo […]13  rimuovete l’uomo malvagio di fra voi”. La notorietà del caso e il biasimo che ne derivava alla congregazione indusse Paolo a parlarne a tutta la congregazione e chiedere che si attuasse la sua decisione e si troncassero i rapporti sociali con il trasgressore. Da questo episodio si comprende che l’espulsione deve avvenire per comportamenti molto gravi, perpetuati nel tempo che rivelano disprezzo o indifferenza per le norme morali di Dio.


(Tito 3:10, 11) In quanto all’uomo che promuove una setta, rigettalo dopo una prima e una seconda ammonizione, sapendo che tale uomo è stato pervertito e pecca, essendo condannato da se stesso.


Anche in questo caso la decisione di “rigettare” un uomo che promuoveva una setta -stiamo parlando di una forma apostasia- andava fatta dopo averlo ammonito “una prima e una seconda volta”. In parole odierne il CG sarebbe da fare non alla prima, né alla seconda volta che lo fa ma ancora dopo, se la persona non si corregge con le ammonizioni ricevute.


Cosa comprendo da queste scritture?


Che per nessun tipo di peccato, per quanto grave sia, si debba istituire automaticamente un CG al primo atto peccaminoso compiuto, neppure per omicidio. Può capitare qualche caso straordinario e di pubblico scandalo come quello ai corinti dove può essere necessario un intervento ad hoc da parte di rappresentanti nazionali della congregazione e attuare una procedura speciale,ma qui sto parlando di procedure ordinarie. Ebbene, io non trovo nessuna scrittura che contempla o suggerisca un’espulsione per un singolo evento trasgressivo per quanto grave sia. Mi piacerebbe che si facesse quello che già si fa per alcuni comportamenti  da CG solo se diventano una pratica continua. Non capisco perché non si possa fare lo stesso per tutta la lista, lo trovo più in linea con lo spirito del cristianesimo. Si dirà “ma anche se si forma il CG non è mica detto che si disassocia, lo scopo principale del CG è di indurre al pentimento e recuperare il trasgressore”. Sì grazie, ma anche se non si disassocia il solo fatto che sia “scattato” il CG comporta sempre e automaticamente degli effetti molto pesanti per il trasgressore: comparire davanti a un comitato con facoltà di disassociarlo (anche per un singolo atto peccaminoso), se poi il comitato è composto da anziani tutt’altro che competenti o bigotti ecc. quella facoltà diventa agghiacciante; vanno poi applicate sempre delle restrizioni giudiziarie (rimozione automatica in caso di qualche nomina, perdita di privilegi anche minimi come commentare o la Scuola di M. T.); impossibilità di riacquistare o avere una nomina come pioniere ausiliario per almeno un anno, regolare per tre anni, idem per altre nomine..e questo anche se il CG non disassocia, per il solo fatto che è “scattato” il CG! Ci credo che uno ci pensa 10 volte prima di confessare una caduta momentanea e che poi nascano addirittura le doppie vite. Ci credo che Morris prega che i suoi figli non abbiano mai a stare davanti a un CG! Quando poi bisogna impartire le restrizioni giudiziarie a una sorella che non ha nomine speciali che cosa le togli? Non rimane che il commento e la scuola. Ad alcune ci fai un favore, altro che penitenza!, ad altre invece le togli l’ossigeno, le togli l’unico modo per recuperare il loro rapporto con Geova che si è incrinato. Questo perché le persone sono diverse e vanno trattate caso per caso mentre queste sono istruzioni standardizzate per tutti e questo a me non fa pensare a Gesù, Lui non omologava.

Se invece un singolo atto peccaminoso, anche serio, viene trattato inizialmente da due anziani, come già avviene per diversi casi, e la persona viene visitata a casa sua e seguita in modo discreto da chi le tende una mano calda con la fermezza di un padre ma che non ha già giudicato, che crede nel suo ristabilimento, il peccatore potrà sentire il pastore che gli fascia l’osso spezzato senza il terrore della possibilità di essere “consegnato a Satana”. Potrebbe essere opportuno per un po’ che non svolga qualche ruolo speciale in congregazione, forse anche qualche mese di “ritiro” per riprendersi, probabilmente la sua stessa coscienza glie lo farà chiedere, ma è tutta un’altra cosa. Non è questo in armonia con le Scritture? Se questi aiuti e tentativi non correggono e il peccatore continua a trasgredire importanti norme bibliche allora si dovrà istituire questo CG, il ché non significa disassociazione sicura, si cercherà ancora di indurlo al pentimento ma stavolta la facoltà di espellere potrebbe far tornare in sé il trasgressore, e se anche il CG non ci riesce allora si può davvero parlare di uno che non mostra più alcun rispetto per i principi biblici e l’espulsione diventa l’extrema ratio sia per farlo rinsavire che per proteggere la congregazione. Così quando avviene un’espulsione possiamo essere persuasi che si tratta davvero di un “lievito” che va separato dalla massa. A questo punto, come ci si deve comportare con i disassociati? E se è un parente stretto?



Ora come li dobbiamo trattare?


Negli ultimi anni nelle pubblicazioni si è calcato un po’ la mano sull’importanza di tagliare i ponti con i parenti disassociati. Mi sono chiesto perché questa insistenza e la mia mente va al punto 2 del primo paragrafo di questo post. Si vede il pericolo di perdere la nostra identità come popolo? Ma cosa dicono realmente le Scritture al riguardo?


Innanzi tutto, dopo l’esposizione precedente, ora abbiamo degli espulsi che sono davvero dei malvagi, persone sprofondate nel peccato che non si possono accettare in congregazione e la cui influenza non può che essere contaminante. A questo punto è giusto fare esattamente ciò che dice Paolo “cessare di mischiarci in loro compagnia e non consumare nemmeno un pasto con tale persona”. La consumazione di un pasto assieme è un momento di condivisione, di amicizia, di comunione. Si spera che il “freddo” della separazione dalla fratellanza faccia tornare in sé il peccatore, come avvenne al figlio prodigo della parabola. Naturalmente questo non significa che non vada degnato nemmeno di un saluto di cortesia se incontrato casualmente. Le parole di II Giovanni 9-11 si applicano solo a chi attivamente va dai fratelli per sovvertire la loro fede in Cristo, questi sono talmente estranei al nostro spirito che anche un semplice saluto comporterebbe un partecipare alle loro opere malvagie. Non c’è alcun motivo per “estendere” questa direttiva a tutti, è anzi un andare oltre ciò che è scritto.  A questo riguardo mi trovo molto più in linea quello che dicevano le pubblicazioni degli anni ’70


*** km 12/74 p. 4 Risposta a domande ***

Come indica La Torre di Guardia del 15 gennaio 1975, al paragrafo 22 dell’articolo “La misericordia divina indica la via del ritorno a quelli che hanno sbagliato”, il cristiano può salutare un disassociato che non è fra quelli descritti in II Giovanni 9-11, ma non andrebbe certo oltre una parola di saluto. La Torre di Guardia del 15 gennaio 1975, al paragrafo 24 dell’articolo “Manteniamo una veduta equilibrata verso i disassociati”, suggeriva che se non si tratta di parentele carnali, è meglio lasciare che siano gli anziani a fare ulteriori conversazioni o rivolgere esortazioni.



Prima di parlare dei parenti però, vorrei rimanere sui disassociati che non sono parenti stretti. Anche qui la standardizzazione dei comportamenti e il percorso richiesto per la riassociazione può generare cose poco cristiane. Che dire se il trasgressore smette la sua condotta peccaminosa e chiede di essere riassociato? Le procedure attuali richiedono che frequenti le adunanze per molti mesi o un anno durante il quale si continua il “trattamento” di 1 Corinti 5:11-13. Ma lì Paolo dice di cessare di mischiarci con chi è fornicatore, avido, idolatra ecc. Se il peccatore, come ho detto, ha smesso e vuole, mogio mogio, rientrare, è proprio necessaria la gogna di venire in Sala senza essere minimamente considerato per molti mesi? Non vedo cosa impedisce di riassociarlo se non è più fornicatore, avido, idolatra ecc.. Naturalmente ci vorrà del tempo per riacquistare privilegi vari a partire dai semplici commenti, ci vorrà forse un affiancamento da parte di qualche fratello o sorella matura in base a quanto tempo è rimasto fuori, ma una disposizione in tal senso credo farebbe rientrare molti espulsi. Dopotutto quando torna il figlio prodigo non viene tenuto in una cuccia del cane fuori casa per dei mesi prima di farlo rientrare in casa, anzi il padre gli fa una festa! E questa cosa lascia molto indispettito il fratello che non ha mai avuto Comitati Giudiziari, ma guarda un po’! Mi piacerebbe che ogni caso venisse trattato a sé o almeno si rendessero più scritturali i requisiti minimi per essere riassociato. Ho citato le parole di Paolo e la parabola di Gesù del figlio prodigo. Perché rendere ancora più stretta la porta? Ci fa essere davvero migliori e più puri se teniamo quelli che sono caduti più alla larga di quanto dicono le Scritture?


Ora lo spinoso capitolo dei parenti stretti. Il fratello Morris ha sottolineato come in 1 Corinti 5:11 Paolo dice di non mischiarci con qualcuno (“chiunque”) chiamato fratello che sia disassociato. Ha aggiunto che Paolo non ha fatto eccezioni tipo “a meno che siano parenti”. E’ vero.

Ma se dobbiamo dare un senso così assoluto al “chiunque” dobbiamo metterci dentro anche i parenti che vivono nella stessa casa, Paolo non dice neppure “eccetto ovviamente quelli che vivono in casa”. Allora come la mettiamo? Quando ci si irrigidisce troppo su un solo versetto, una sola parola, vengono fuori delle storture anti cristiane. Evidentemente l’istruzione paolina va armonizzata comunque con altre scritture e principi a partire dall’educazione! Anche perché, mi ripeto, non si possono omologare tutte le situazioni e far sentire “sleali a Geova” chi ha dei contatti con dei parenti disassociati. Rimango anche io convinto che la disassociazione come la presento in questo post, deve sicuramente generare anche un cambio nei rapporti con i famigliari, ma lascerei la gestione di questa situazione alla coscienza individuale richiedendo almeno di tener conto della coscienza della congregazione (bisogna anche vedere che cosa è successo, se persone nella congregazione sono state danneggiate dal parente espulso e una marea di fattori che gli anziani potrebbero considerare). Gli anziani dovrebbero intervenire quando il testimone attivo giustifica o scusa la condotta peccaminosa del parente, su questo non si può transigere, ma è fuori luogo ficcare il naso nei rapporti privati e non ostentati verso parenti stretti disassociati. Hai voglia poi a raccontare le esperienze di quelli che ringraziano per non aver ricevuto nemmeno una telefonata per anni e grazie a questo sono tornati..le persone non sono tutte uguali! Come i padri sanno bene, non a tutti i figli si può dare lo stesso tipo di disciplina per ottenere lo stesso risultato. Chissà quante esperienze ci sarebbero in senso contrario ma quelle non vanno sulle pubblicazioni.  Che tristezza però se questi parenti tornano per riavere il calore dei loro famigliari! Il figlio prodigo “torna in sé” quando, dopo aver dato sfogo a tutti i suoi istinti, si trova a desiderare di mangiare il pastone dei porci. La presa di coscienza del suo infimo stato provoca in lui un vero pentimento, e comincia a disprezzare la sua scelta. Non è perché i famigliari lo evitano che è spinto a tornare. Di nuovo, che dire se il parente disassociato ha cessato la condotta peccaminosa ma non riprende a frequentare le “adunanze gogna”? I parenti fratelli dovrebbero continuare a trattarlo come quando praticava il peccato? Possibile che non si consideri tutta una serie di differenze nei vari casi e si omologhi tutti alla stessa stregua? Qui non si tratta di non volere accettare un intendimento su cosa sia successo in cielo nel 1914 o nel 1919, qui si tratta di procedure che fanno stare male la nostra coscienza per come comprendiamo le Scritture, per quello che le Scritture realmente dicono. La conseguenza è che se uno si imbatte, suo malgrado, in situazioni come queste o deve osservare quello che dice una procedura dettata dall’organizzazione, ma sentire di distanziarsi dallo spirito delle Scritture, o seguire la propria coscienza illuminata dalla Parola e disattendere la procedura del momento.


O.O.
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Risposte a domande specifiche:


1)A 007mission impossible12 gennaio 2014 08:15
Il peccato era già in piazza. Quell'uomo si era messo con la matrigna ed era illegale anche se lei fosse stata vedova (come probabilmente era). Non era una scappatella ma una condizione stabile e notoria (alcune Bibbie traducono il v.1 "dappertutto si ode che fra voi c'è.."). La cosa peggiore è che la congregazione non solo lo tollerava ma se ne vantava pure (v.2 "e voi siete gonfi invece di fare cordoglio?"). La situazione era tale che andava fatta una riprensione pubblica sia per il peccatore ma anche per la congregazione stessa.

2)A Anonimo12 gennaio 2014 22:00
Perché facendo così si imita i farisei i quali, pensando di fare un servizio alla purezza, avevano aggiunto fardelli che le Scritture non contenevano e invece di produrre maggiore purezza producevano ipocrisia. Lo stesso dicasi dei Soferim (gli scribi) i quali dovendo copiare le Scritture pensarono bene di correggere lo spirito santo e sostituirono il nome di Geova con Signore laddove secondo loro il testo (ispirato!) era irrispettoso (??). Invece di farci prendere da inutili patemi e fasciarci la testa prima di romperla sarebbe molto meglio confidare in Geova e dedicare il tempo risparmiato dai CG in attività pastorale di prevenzione.

3)A Anonimo13 gennaio 2014 09:06
Ho scritto omicidio, non omicidio volontario. Comunque in caso di omicidio volontario il trasgressore è già in galera e non può mica presentarsi al comitato giudiziario:-). Ma considera questo caso: entri in casa e cogli un uomo che sta cercando di violentare tua moglie o tua figlia. . Tu gli salti addosso e riesci a sventare la violenza, ma preso da comprensibile rabbia vedi lì vicino una mazza da baseball e con un colpo gli sfondi la testa. È omicidio volontario e saresti processato per questo reato. Ma le situazioni possono essere tante. Un caso di omicidio volontario come ad esempio quello di Whitney citato da Morris, andrebbe trattato come straordinario con procedura ad hoc, lo dico nel post.